Moto e Abbigliamento Bikers dedicato : Le tendenze del 2023 influenzate dall' iconico " Chiodo di pelle "

CHE MOTO VEDREMO NEL 2023 Custom, Classic e Cruiser IL ritorno degli stili retro' delle classic  negli ultimi anni è esploso , con una serie di marchi e modelli del tutto nuovi (soprattutto cinesi) che stanno invadendo il mercato europeo.   potrebbero arrivare una scrambler Honda CL500 e una versione bagger della Rebel 1100.. In Ducati è già confermata la nuova Scrambler , mentre dall'Inghilterra potrebbe arrivare una piccola Bonneville con cilindrata intorno ai 400cc (in collaborazione con Bajaj).  BMW potrebbe presentare una versione in scala della maxi cruiser R18: la R12 con boxer 1250. Ma prepariamoci all'invasione della profanazione sacrilega elettrificata,  perchè probabilmente a Intermot e EICMA 2023 vedremo una apoteosi di moto elettriche .   Fra i marchi che stanno stimolando attivamente la curiosità dei motociclisti c'è Triumph, che porterà la versione di serie della  TE-1  .  Livewire (Harley Davidson) invecie  mostrerà la  Del Mar  in versione definitiva

KTM Penton : La Leggenda


 KTM Penton : La Leggenda


KTM nasce agli inizi degli anni ’50, quando Hans Trunkenpolz, fin dagli anni ’30 titolare di un’officina di riparazione auto e moto a Mattighofen cui affiancò la produzione di parti di ricambio e cuscinetti, pensa alla costruzione della prima motocicletta, che vedrà la luce ufficialmente nel 1953. Vite paralleleLa storia moderna della KTM è fatta di una serie di episodi e personaggi che vale la pena ricordare, e che ci permettono di entrare nel mondo del fuoristrada degli anni ’60. Abbiamo visto che in Austria, a Mattinghofen la produzione motociclistica inizia negli anni ’50. La neonata KTM si muove su più fronti: moto da corsa, dove si utilizzano anche motori italiani Mondial ed MV Agusta, uno scooter e una piccola e una piccola ed economica 98 due tempi col motore Rotax che viene anche impiegata nelle gare fuoristrada.

 

Ricordiamo che la Rotax, salita prepotentemente alla ribalta del fuoristrada negli anni ’70, all’epoca produceva già una bella gamma di motori da 100 a 400 cm3 che forniva a numerosi costruttori austriaci.

Nel 1955 la Kronreif e Trunkenpolz di Mattinghofen (Ernst Kronreif entrò in società col fondatore proprio quell’anno) presentano una 125 motorizzata Rotax chiamata Tourist che quell’anno motorizzerà il team KTM impegnato nella Sei Giorni Internazionale disputata in Cecoslovacchia.

Nel 1962 circolano i prototipi di un ‘cinquantino’ che genereranno il Comet e la KTM si attrezza anche per produrre biciclette, che esporterà in grandi numeri degli Stati Uniti. Nel 1964, la KTM presenta una squadra ufficiale alla Sei Giorni di Erfurt, in Germania, motorizzata con un evoluto Sachs 50 cm3. Nel 1965 la KTM iscrive le sue piccole macchine alla Valli Bergamasche e incontra i piloti italiani, esponenti di una scuola regolaristica che non teme confronti con inglesi tedeschi e piloti dell’est europeo. E alla successiva Sei Giorni Internazionale, uno dei piloti delle KTM 50 è Arnaldo Farioli.

La scena USAOltreatlantico, come noto, le discipline motoristiche più popolari sono profondamente diverse da quelle europee.

Il territorio, i regolamenti e la natura avventurosa del popola americano portano alla disputa di gare fuoristrada su lunghe distanze, attraverso il deserto, oppure sugli ovali del dirt track.
Ma la pratica del fuoristrada è così popolare che le Case giapponesi ed europee preparano prodotti specifici con le ruote tassellate e il manubrio alto per soddisfare la voglia di scrambler dei giovani americani.
La KTM, nel 1967, decide di cimentarsi in questo settore, dominato dalla Honda, allestendo una 100 col motore Sachs commercializzata solo su quel mercato col marchio Hansa, che forse fu scelto per una certa assonanza col popolare nome Honda che identificava la gran parte delle moto di questo tipo che circolavano fuori dall’asfalto. Importatore delle KTM Hansa, e consigliere della Casa austriaca per l’esportazione negli USA, era un certo Fritz Dengel di Cleveland.

La famiglia Penton e la Jack PineLe gare fuoristrada americane cui abbiamo accennato più sopra erano denominate Enduro e potevano svolgersi su distanze che andavano da poche decine di miglia fino alle lunghe maratone di 500 miglia.

Si trattava, almeno inizialmente, di gare a media prestabilita, nelle quali i piloti dovevano rispettare una serie di passaggi a orari prestabiliti in base a una media pre definita.

Tra queste, una delle più impegnative e per questo ambite dai migliori piloti era il Jack Pine Enduro, disputato su due giorni a Lansing, nel Michigan, su un percorso di 500 miglia, vale a dire 800 chilometri. Il riferimento a questa corsa non è casuale: i fratelli Bill e John Penton, quest’ultimo uno dei protagonisti della storia che vi stiamo raccontando, correvano negli enduro con delle vecchie Harley-Davidson militari adattate all’impiego e, come tanti altri piloti, rincorrevano il successo alla Jack Pine come un ambito traguardo della loro carriera.

Nell’edizione del 1948 di quella corsa, John ebbe modo di confrontare le prestazioni di una leggera e maneggevole monocilindrica BSA con la sua grossa bicilindrica.
Un confronto che segnerà il destino di John Penton, che da allora coltivò la convinzione che la perfetta moto da fuoristrada doveva essere leggera e maneggevole.

Quello stesso anno i quattro fratelli Penton (oltre ai Bill e John c’erano anche Ted e Ike) aprirono una concessionaria di moto BSA ad Amherst, Ohio, loro città natale e, a dimostrazione che la sua intuizione era valida, nel 1949 John si classificò al secondo posto nella Jack Pine del 1949 in sella a una BSA 350. Da allora per John Penton divenne una questione di orgoglio personale riuscire a vincere un Jack Pine Enduro, una sfida che durò decenni, nei quali si susseguirono tanti piazzamenti ma mai l’agognata vittoria.

Le sue moto cambiarono, ma restarono sempre di relativamente piccola cilindrata e con una specifica preparazione per sopportare queste lunghe cavalcate fuoristrada.

Dopo la BSA venne una NSU Max 250 e quando la NSU cessò la produzione motociclistica, John Penton passò alla BMW monocilindrica R27 di 250 cm3 cui sostituì la forcella Earles con un’altra proveniente da una Ariel.
Ma, nonostante sia con la NSU che con la BMW fosse spesso primo al traguardo in eventi minori, per la famosa Jack PineJohn dovette aspettare fino al 1967 e una moto svedese, la Husqvarna 250, Casa di cui i Penton divennero distributori per una parte degli Stati Uniti.

L’arrivo della Husqvarna negli USA cambiò completamente l’orizzonte delle gare fuoristrada: quella due tempi nasceva espressamente per il fuoristrada, era leggera e potente e soprattutto robusta, poichè realizzata con eccellenti materiali e buon metodo.

Più o meno il concetto di moto che da vent’anni inseguiva John Penton. Più o meno perché per lui la cilindrata di 250 o 360 era fin troppo.
Meglio una 125.
E questa fu la richiesta che John Penton fece agli svedesi: realizzare una Husqvarna 125 per il mercato americano.

Niente Husqvarna?
E allora sia… PentonOttenuto un deciso no alla sua richiesta, John Penton decise che con la sua esperienza poteva diventare egli stesso costruttore della miglior moto da fuoristrada.
Come riporta Ed Youngblood nel volume ‘John Penton and the off-road motorcycle revolution’ l’approccio di Penton fu semplice e concreto e seguì un’idea che aveva già espresso cinque anni prima: “Sono in grado di ricordarmi ogni pezzo che si è rotto sulle mie moto durante un Enduro. Credo che la miglior cosa sarebbe quella di prendere i migliori componenti da tante moto e metterli insieme per crearne una migliore di ciascuna di esse”.


E, in epoca più recente, aggiunse poi che se la Husqvarna avesse fatto la 125, la Penton non sarebbe mai nata e che fu solo a causa della loro cocciutaggine che gli svedesi si trovarono un altro concorrente sulla loro strada…

Non fu dunque un caso, secondo noi, che le Penton ebbero anche la stessa livrea rossa e argento delle Husqvarna. Un tocco di ironia per ricordare quell’accordo non raggiunto?

Fritz Dengel, importatore KTM per gli USA, nel 1967 incontrò Penton e gli chiese di provare un paio di Hansa e riportargli le sue impressioni.

Le moto non erano un portento se usate rudemente, ma il motore Sachs aveva delle buone potenzialità. Alla Sei Giorni Internazionale, corsa quell’anno a Zakopane in Polonia, Penton incontrò un pilota della KTM 50 che lo invitò a Mattighofen per incontrare il titolare dell’azienda Trunkenpolz.

Il risultato fu un accordo che prevedeva che la KTM realizzasse il prototipo di una 125 da enduro seguendo le indicazioni di Penton. Nell’autunno del 1967 Penton, Dengel e Trunkenpolz visitarono il Salone di Milano alla ricerca della miglior componentistica specifica da montare sul loro prototipo.

La KTM-Penton 125 del 1969

Alla fine dell’anno la moto era già negli USA per le prime prove. Si trattava di una moto essenziale, così come sognata da Penton, motorizzata con un motore Sachs 125 con 16 CV e cambio a 5 marce.

L’interasse era compatto, a 1.240 mm e la componentistica di prim’ordine, con forcella e ammortizzatori Ceriani (frutto della ‘spesa’ fatta al salone di Milano…) e comandi Magura. Le misure delle ruote erano 18″ per la posteriore e per l’anteriore 21″ l’anteriore, buona per garantire una buona luce da terra alla doppia culla del telaio.

Nella nostra regolarità le ruote da 21″ non erano ancora diffuse: Gilera e Morini, le quattro tempi che popolavano le classi 100, 125 e 175 uscivano con la 19″ che solo qualcuno sostituiva con la 21″.
Le prime Penton raggiunsero gli USA nel marzo 1968, periodo nel quale possiamo considerare inizi la storia delle KTM-Penton.

Collaudi in garaLe prime Penton furono subito affidate a piloti di fama e impiegate nelle prime gare nazionali in programma, per saggiarne le prestazioni e l’affidabilità.

Jack Penton in particolare, uno dei figli di John, era un pilota così bravo e spettacolare che le sue gesta facevano sembrare tutto più semplice: e questo giocò a favore della Penton facendola diventare la protagonista di una piccola rivoluzione nel fuoristrada statunitense.

A onor del vero, qualche anno prima già altre Case si erano cimentate con delle motoleggere da fuoristrada. La Bultaco aveva allestito una versione per il mercato USA della Sherpa 200, la moto che dai primi anni ’60 equipaggiava i piloti spagnoli alla Sei Giorni, chiamandola Matador e creando l’antenata di una lunga serie di moto da enduro.

Le anche le nostre Parilla e Ducati esportarono oltreoceano delle versioni fuoristrada delle loro monocilindriche.

La Penton poteva anche essere utilizzata con profitto nel motocross. Anzi, la piccola 125 era nasceva senza impianto elettrico che poteva poi essere acquistato a parte, insieme agli altri accessori per l’uso stradale, rendendo così la moto bivalente e dunque a più ampio raggio di utilizzo. Le prove misero in luce i punti deboli della moto che fu progressivamente migliorata nel corso dei primi anni di produzione.

Secondo lo storico del marchio Youngblood l’identificazione dei modelli non è sempre agevole, a causa delle modifiche che sopraggiungevano senza una data precisa di introduzione, anche se le differenze più evidenti tra un modello e l’altro sono state applicate su base annua.

Ricordo a tale proposito quanto mi riferì una volta Alfredo Gramitto Ricci, grande esperto di tutte le fuoristrada di questi anni e in particolare di Ancillotti, che la piccola Casa fiorentina cambiava dei dettagli sulle moto ogni sei mesi, rendendo così piuttosto complicata l’identificazione del preciso anno di costruzione.

Comunque per il 1968, il primo anno, le Penton erano proposte in due cilindrate, la 100 e la 125 che si differenziavano, a colpo d’occhio, per il diverso colore del serbatoio della scatola filtro e degli astucci degli ammortizzatori: rosso metallizzato per il 100 Berkshire e verde metallizzato per il 125 Six Day.

Per il 1969 le modifiche più importanti riguardarono il sistema di aspirazione, che su completamente rifatto per rendere la filtrazione più efficiente.
L’originale, infatti, aspirava in una scatola in lamiera di alluminio posta sotto la sella che conteneva il filtro, chiusa da un fianchetto chiuso da un pomello in plastica (oggi introvabile…).

Nella sua evoluzione, John Penton si ispirò alla sua vecchia NSU Max, il cui carburatore aspirava nel volume d’aria incluso tra i due gusci in lamiera saldata che costituivano il telaio.
Similmente, dalla scatola filtro metallica, collegata al carburatore Bing, c’era un manicotto di collegamento nel trave scatolato del telaio che si estendeva sotto il serbatoio e aveva una serie di fori sui fianchi, nella parte prossima al cannotto di sterzo.

I dettagli che differenziano le prime due versioni (1968-69 e 1970-71) sono ben evidenziati nelle fotografie, cui rimandiamo per il doveroso approfondimento.

Ricordiamo solo la sostanziale differenza nel gruppo termico del motore, che con la seconda serie assume dimensioni più estese e monta una testa con alettatura radiale.

La produzione delle Penton proseguì fino al 1971, anno della presentazione della KTM GS 125, una moto totalmente nuova che la Casa austriaca decise di commercializzare per proprio conto, lasciando a Penton il privilegio di continuare a marchiare col suo nome le moto vendute sul mercato USA.

Penton, KTM e FarioliArnaldo Farioli, attorno alla metà degli anni ’60,era un regolarista che correva con le Gilera, le Moto Guzzi e le Morini, il meglio che i nostri costruttori fornivano per questa specialità.

Unica divagazione dal quattro tempi quella avvenuta alla Valli Bergamasche del 1964, quando la KTM lo contattò per sostituire uno dei piloti ufficiali nella classe 50.

Un rapporto che non continuò nell’immediato, ma fu ripreso in occasione dello sviluppo delle prime KTM GS 125. Una collaborazione che è sfociata nell’importazione dapprima delle Penton e poi delle KTM nel nostro Paese, a partire dal 1969.

La prima Penton che vidi dal vero fu quella che era esposta nel negozio di Domenico Rege, l’allora importatore della Greeves, nel 1971, già col Sachs ad alettatura radiale.
 “Conoscevo già Farioli dal 1968”, racconta Rege, “poiché avevamo entrambi fatto la Sei Giorni di regolarità a San Pellegrino: io in sella a una Greeves 250 da trial che avevo adattato per la regolarità (con cui vinse la medaglia di bronzo e fu l’unico italiano a classificarsi nella classe 250 – ndr) e lui nella squadra italiana con la Gilera.

Ci ritrovammo vicini di stand al Salone di Milano, io con le Greeves e lui con le KTM. Fu in quell’occasione che mi offrì l’opportunità di diventare concessionario KTM per il Piemonte, cosa che accettai e che mi portò fortuna.

Nel periodo d’oro della GS 125 vendevo 300 moto all’anno e Farioli credo superò addirittura quota 5.000 immatricolazioni. Altri tempi!”. Quella Penton non aveva eguali, all’epoca: solo la Puch 125, quella grigia col serbatoio metallico, reggeva il confronto tecnico, anche se la KTM, con l’abbinamento cromatico che ricordava le Husqvarna da cross che in quegli anni erano il massimo, aveva più appeal.

La KTM-Penton del 1970
La prima vera KTM 125Più che di una evoluzione della Penton, la nuova GS, che fece la sua prima apparizione ufficiale alla Sei Giorni di regolarità che si disputò nel 1971 sull’isola di Man, era una moto completamente nuova, nella quale fu soltanto mantenuto lo spirito e l’esperienza maturata nei primi tre anni di produzione delle Penton.

Per il resto, la nuova moto fu sviluppata con la collaborazione di alcuni piloti collaudatori europei, tra i quali il nostro Arnaldo Farioli.

Unico punto in comune il motore Sachs col cambio che però passa da 5 a 6 marce, carburatore Bing e la vistosa alettatura, quella della testa disposta a ventaglio, o radiale, come di diceva allora.

Nel 1972 la nuova KTM GS 125 non aveva più il logo Penton
Per il resto tutto nuovo, a cominciare dal telaio realizzato in sottili tubi di acciaio al CrMo, privo del trave scatolato tipico del telaio Penton (che tornerà però sui telai delle serie successive alla prima) e caratterizzato dai fazzoletti di rinforzo saldati con una serie di punti distanziati tra loro per garantire una maggior flessibilità sotto carico.

La zona di attacco del forcellone, che sul vecchio telaio aveva dato qualche problema di resistenza a fatica (tanto da essere rinforzata dopo i primi collaudi) è ora robustissima, con addirittura due piastre affiancate nelle quale è posizionato il supporto del perno forcellone.

E poi le dimensioni geometriche sono diverse: la moto è più bassa e lunga, con l’interasse che cresce a 1.390 mm, la luce da terra che diminuisce di qualche centimetro e il cannotto visibilmente più inclinato rispetto alla Penton.

Dal punto di vista estetico la GS è caratterizzata dal nuovo serbatoio in vetroresina dalla forma realmente innovativa rispetto alle altre moto da regolarità del periodo, caratterizzato dal fissaggio con una cinghia in cuoio che ne attraversa il dorso.

Il colore è un rosso brillante spezzato solo da una doppia riga orizzontale e dallo stemma ovale bianco/blu.

Come per la Penton, anche la GS è prodotta nella cilindrata di 100 cm3, contraddistinta dal colore verde.

Le forcelle restano Ceriani, ma il diametro degli steli scende da 35 a 32 mm. Una scelta voluta per dare maggiore agilità allo sterzo ma che perde un po’ di rigidezza torsionale, recuperata montando due cavalotti di collegamento in tubo acquistabili come optional per l’uso nel fuoristrada più impegnativo.
Gli ammortizzatori potevano essere Ceriani oppure Girling (personalmente mi ricordo di aver visto quasi esclusivamente quelli inglesi).

Dove la GS 125 si distingueva dalla concorrenza a due tempi era nella disposizione del sistema di scarico che per la prima volta non interferiva davvero con le gambe del pilota, anche nella guida in piedi.

Si trattava del classico ‘uovo di colombo’, una soluzione che però nessuno aveva ancora pensato: in pratica la camera d’espansione correva di traverso nella zona tra il serbatoio e la sella, passando dal lato sinistro al destro della moto e terminando in un lungo silenziatore a sigaro col terminale smontabile per le operazioni di manutenzione.

Anche la scatola filtro era concepita con criteri razionali: era infatti posta nella triangolatura centrale del telaio, con la sagomatura adatta a consentire il passaggio dello scarico.

Il filtro a cartuccia era accessibile smontando il fianchetto sinistro, mentre l’apertura dell’aspirazione era posta sotto la sella. Anche in questo caso le immagini consentono di apprezzare tutti i dettagli e di fare i confronti con la Penton.

Di queste moto, tra il 1971 e il 1974 furono realizzati circa 25.000 esemplari.

La robusta struttura del telaio e il geniale passaggio del tubo di scarico

Un motore di riferimentoIl Sachs a sei marce che troviamo sulla GS è siglato 1251 6A e, numero dei rapporti a parte, è sostanzialmente uguale a quello della Penton seconda serie ed è anche la stessa unità utilizzata da tanti assemblatori dell’epoca.
Le dimensioni caratteristiche sono perfettamente ‘quadre’ (54 x 54 mm) per una cilindrata di 123,7 cm3 (48 x 54 mm e 97,7 cm3 per la versione GS100) e un rapporto di compressione di 10:1.

La potenza del 125 è dichiarata in 18 CV (15 CV per il 100). La distribuzione è la classica a luci incrociate, sulla quale ogni costruttore effettuava le modifiche che riteneva più opportune.
La testa incorpora una camera di scoppio di forma emisferica con la candela fuori asse e anello di squish.
Il pistone ha il cielo leggermente bombato, due segmenti e un mantello piuttosto esteso dovendo assolvere al compito di regolare l’ammissione dalla terza luce praticata sul cilindro cui è collegato il carburatore Bing da 27 mm (26 per il GS100).

Il Bing da 27mm
L’albero motore ruota su cuscinetti a sfere e la biella ha la testa montata su rullini: con la miscela al 4% d’olio speciale (all’epoca si utilizzava il Castrol R30) l’affidabilità del motore era buona. Il cambio, invece, aveva un sistema di innesto semplice ed economico, ma non adatto a trasmettere la coppia di un motore con queste prestazioni.


Nato evidentemente quando i cavalli erano molto meno, il sistema a chiavetta scorrevole fu mantenuto nel tempo e con esso una fragilità intrinseca che, nell’uso un po’ garibaldino tipico del fuoristrada, poteva dare luogo a rotture che rendevano inservibile il cambio.

La crociera, un componente del valore di pochi euro, per essere sostituita richiedeva lo smontaggio del motore dalla moto e la sua apertura, con una spesa di manodopera piuttosto salata e quasi pari, ricambi a parte, a quella di una revisione completa… Un difetto che affliggeva anche i primi motori Puch 125 e 175 sei marce, che utilizzavano un sistema analogo.
Chi ha usato questi cambi ricorderà anche la lunga corsa della leva (al contrario del Puch, che aveva un’escursione ridottissima).

Il carter motore è tagliato secondo un piano verticale.
L’erogazione del motore KTM potrà oggi far sorridere chi è avvezzo ai moderni 125 con oltre 30 CV, ma all’epoca entusiasmava i sedicenni provenienti dal ‘cinquantino’ oppure dai quattro tempi Gilera, Guzzi e Morini.
La distribuzione dei pesi e la geometria di sterzo ben si adattava alla coppia scarica a terra di colpo appena la marmitta ‘intonava’ con la distribuzione.

Nonostante la tendenza alla derapata, il controllo della moto era incredibilmente facile, rendendo la guida di questa moto, in mano a mani appena un poco esperte, davvero appagante.

L’ultima GS col SachsLa quarta protagonista di questo servizio è la GS 125 del 1975, ovvero l’ultima delle KTM del primo periodo, prima che anche sulla 125 la Casa austriaca montasse un motore di produzione propria, secondo una tendenza iniziata nel 1973 col GS 175 e proseguita poi con il 250.

nonostante nel frattempo fossero nati molti altri costruttori, tra i quali ricordiamo la SWM, quello forse più vicino alla Casa di Mattinghofen come qualità costruttiva e prestazioni, e la stessa Sachs che produceva buone moto da regolarità coi Marchi DKW ed Hercules, la KTM non ritenne di modificare più di tanto la sua 125.

L’ultima KTM GS 125 col motore Sachs

Furono sostituiti gli ammortizzatori con dei Marzocchi a gas con vaschetta separata e anche il forcellone e il telaio furono modificati per consentire il montaggio degli ammortizzatori in più posizioni, per modificare l’escursione e la risposta della sospensione.
I parafanghi passarono dall’alluminio lucidato ala più economica plastica bianca, flessibile e quindi meno a rischio di rotture o deformazioni permanenti nell’uso più severo.

Il colore passò dal rosso al celeste, lo stesso della GS 175, anche se i parafanghi di plastica bianca apparvero già sulle GS rosse. A livello estetico si notano i mozzi verniciati in nero opaco, la diversa forma del serbatoio, un nuovo terminale della marmitta e il fianchetto destro in plastica che si estende fino a creare una protezione dal calore della marmitta, sostituendo in questa funzione la vecchia protezione in lamiera forata. Nel motore, siglato 6D, il carburatore Bing da 28 mm è montato al collettore sul cilindro tramite un manicotto elastico, per isolarlo dalle vibrazioni.


Altre differenze visibili le aste di reazione del freni in alluminio anziché in acciaio e i soffietti di protezione delle leve al manubrio, sempre Magura, ma in similpelle nera anziché in plastica grigia stampata.
Anche in questo caso rimandiamo alle fotografie il confronto tra i vari modelli.
Nel 1976, come abbiamo detto, il motore Sachs uscirà di produzione per fare posto a una nuova unità a sette marce che non avrà la stessa fortuna del predecessore. Contemporaneamente la KTM realizza in proprio, dopo il 175 e il 250, anche per il motore più piccolo, rendendosi indipendente dal fornitore tedesco e iniziando una nuova epopea della GS 125.

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