Il complesso composto dall'Eremo o Rotonda di Montesiepi e dalle rovine della grande Abbazia di Circestense di San Galgano è uno dei più suggestivi che si trovano in Toscana, qui si trova
la spada nella Roccia infissa nel 1180 da Galgano Guidotti sull'Eremo di Montesiepi.
Questo fu l’unico miracolo in vita di San Galgano, ma a distanza di oltre ottocento anni è ancora visibile.
Una straordinaria quanto sconosciuta reliquia del XII secolo, una spada nella roccia italiana.
Si tratta del corrispondente italiano della leggenda della spada nella roccia di re Artù, ma con note differenti: mentre la spada nella roccia venne estratta dal giovane Artù, questa spada venne conficcata nella roccia da San Galgano.
Le fonti storiche medievali e le raffigurazioni corrispondono perfettamente alla Spada che è ancora oggi visibile.
Ne esiste una molto simile anche a Rocamadour, nel Perigord, sul cammino di Compostela, e si dice che potrebbe trattarsi della Durlindana, la mitica spada di Orlando, il paladino di Carlo Magno.
Ma la spada di San Galgano ha tutti i numeri per sconfiggere sul piano storico quella di Re Artù, mai vista da nessuno.
Tra le due spade.una delle quali è realmente esistente e secondo gli esperti di armi medioevali, oltre che per alcune analisi chimiche, risalirebbe effettivamente al dodicesimo secolo — c’è una differenza concettuale di fondo.
La spada di Galgano sembra corrispondere esattamente, per quanto concerne lo stile, a una vera spada del XII secolo, e più esattamente del tipo X.a della classificazione ormai universalmente accettata di Ewart Oakeshott. Si tratta di uno dei massimi esperti di spade medievali, consulente alle Royal Armouries di Leeds.
Sono stati ripercorsi gli avvenimenti che hanno interessato la spada dal 1915 in poi, anche grazie a testimoni oculari ancora in vita.
La Spada fino al 1924 circa era conficcata in una fessura della roccia e poteva essere estratta al contrario di quanto riportano le più antiche testimonianze tutte, di sicuro dev’essere accaduto qualcosa alla Spada tra il 1750 ed il 1915.
Galgano secondo la tradizione tramandataci dai frati di Montesiepi e giunta sino a noi, pronunciò la seguente preghiera:
“Creatore altissimo, principio di tutti e' principii, e che facesti lo mondo di quattro elementi, et che lo mondo, per li peccati degli uomini corrotto, per diluvio sì sanasti e purificasti, e che passare facesti lo tuo popolo e seme d'Abramo lo Mare Rosso a ppiedi secchi, e che, nel tempo de la plenitudine de la gratia, del seno del tuo Padre nel ventre de la Vergine Maria descendesti vestito de la nostra humanitade, e lo patibolo de la croce, li chiovi, e sputi, e fragellato e humiliato per ricomprarci sostenesti, e lo terzo dì resuscitando da morte a coloro che tti credettero apparisti, e che lo quadragesimo dì in cielo salisti, per cui comandamento e volontà tutte le cose procedono; drizzami ne le tue semite e ne la tua vita e nell'opere de' tuoi comandamenti, acciò che, al tuo servigio devotissimamente stando, lo promesso habito di cavaliere meriti d'acquistare, lo quale ne la visione mi mostrasti; e menami, Signor mio, ne la via de la pace e de la salute, siccome menasti lo tuo servo e profeta nel lago de' leoni, lo quale portasse lo cibo da mangiare a Daniello”.
Non avendo una Croce e non potendo lavorare il legname per farsene una, estrasse la sua spada dalla guaina e la conficcò nella nuda roccia a mò di Croce.
Purtroppo però dopo un paio di secoli cadde in rovina e, addirittura, il Commendatario Girolamo Vitelli, nel 1550, ne vendette il tetto in piombo.
Ci furono poi vari tentativi di ripristinare il convento ma, nel 1789, l’Abbazia venne sconsacrata e decadde definitivamente.
Oggi le sue suggestive rovine infondono profonde emozioni, oramai si può mirare soltanto la sua struttura, oggi il suo soffitto sono le stelle ed il suo pavimento è un soffice prato verde.
La spada di Galgano venne confitta nella roccia, dopo una vita di dissolutezze, come potente gesto di conversione, mentre il predestinato re Artù estrasse la sua spada dalla roccia per combattere e instaurare un regno di giustizia.
Secondo gli atti del processo di beatificazione, che riportano la testimonianza della madre del santo, Dionigia, quando Galgano si recò a Roma in visita da papa Alessandro III, degli invidiosi andarono nell’eremo di Montesiepi (nella foto sopra) e cercarono in tutti i modi di estrarre la spada dalla roccia.
Non riuscendovi la spezzarono.
Poi, al ritorno del santo, per miracolo, la spada si rinsaldò.
La fortuna di San Galgano nei secoli e l’immediata popolarità del suo culto stanno in quella spada conficcata nella roccia.
Non si tratta soltanto di un mito ma di un fatto tremendamente serio, tale da scalfire la primazia di quell’altra spada nella roccia cui sono stati dedicati fiumi di pagine e poi, nell’era dell’immagine, film e documentari: stla spada di re Artù
Galgano Guidotti (anche se sul cognome c’è qualche dubbio) è un personaggio realmente esistito, nato nel 1148 a Chiusdino e morto nel 1181, come attestano documenti ancora esistenti.
Invece re Artù e tutti i suoi cavalieri appartengono al mondo delle leggende.
E poi gli atti del processo di beatificazione, che si possono leggere in appendice al volume di Moiraghi, risalgono incontestabilmente al 1185, cinque anni prima che Chrétien de Troyes scrivesse il suo «Perceval», dando origine ai miti della cosiddetta «materia di Bretagna» e venticinque anni prima che il tedesco Wolfram von Eschenbach strutturasse più solidamente la storia nel suo «Parzival» (1210).
Bene inteso, la spada di San Galgano, non è l’unica arma medioevale conficcata nella roccia in Europa.
La leggenda San Galgano
Suo padre, Guidotto, lo lasciò orfano a giovane età, ma Galgano viveva con la sua madre Deonigia.
Quando Galgano si convertì, la madre sognò San Michele Arcangelo che dolcemente le chiedeva di vestire a Cavaliere suo figlio, il quale sarebbe divenuto Cavaliere di Dio.
Deonigia così fece e Galgano fu lieto ed onorato di seguire i comandi di San Michele, al quale era particolarmente devoto.
A distanza di tempo, quando era Cavaliere già valoroso, Galgano ebbe un sogno profetico.
Sognò San Michele, il quale gli disse: “seguitemi”.
Galgano ne fu lieto e prese a seguirlo sperando che fosse arrivato il momento in cui sarebbe divenuto Cavaliere di Dio, come disse il Santo nella visione della madre Deonigia.
Galgano seguiva il Santo giungendo fino ad un fiume. Arrivò davanti all’imbocco di un lungo ponte, il quale non si poteva superare se non a gran fatica. Sotto il ponte Galgano notò un mulino che girava spinto dalla corrente del fiume. Il mulino che gira sta a rappresentare gli eventi terreni che sono in continuo tumulto e agitazione, senza stabilità e del tutto transitorie.
Passando il ponte giunse ad uno stupendo prato fiorito e profumato, da lì continuò e gli parve di entrare nel sottosuolo.
Quel luogo era Montesiepi e lì scorse una casupola circolare dove entrò.
Al suo interno vi erano i Dodici Apostoli e, vicino a loro, un libro aperto; Galgano si avvicinò per leggerlo e vide queste parole: “Quoniam non cognovi licteraturam, introibo in potentias Domini, Domine memorabur iustitiae tuae solius”.
la scienza oggi
Gli esami scientifici svolti sulla roccia sono stati eseguiti dal Prof Luigi Garlaschelli, ricercatore del Dipartimento di Chimica dell’Università di Pavia; per il coordinamento, e l’indagine agiografica Maurizio Calì, sotto concessione di Don Vito Albergo, il responsabile della Cappella e di S.E. l’Arcivescovo di Siena.
Dal 17 gennaio 2001 ha preso il via un vasto programma di analisi sulla spada di San Galgano e sulla rotonda di Montesiepi di Chiusino (SI).
Varie ricerche sono già state effettuate da varie facoltà ed ultimamente anche da parte di “Focus”, celebre rivista scientifica.
Sono stati adoperati i migliori mezzi attualmente a disposizione, a cominciare dal geo-radar (un radar capace di penetrare in grande profondità) al fine di esplorare il terreno vicino alla pietra alla ricerca di grotte, cavità nel sottosuolo, antiche mura etc.
Il responsabile radar è il Prof. Finzi dell’Università di Padova.
Sono stati effettuati rigorosi test in questo senso per accertarsi che la roccia non fosse cava lì dove fu infissa la spada facilitandone quindi l’entrata, gli scettici teorizzavano anche che la spada in realtà fosse senza lama e che quindi si avrebbe solo l’illusione ottica di una spada piantata così in profondità in una roccia.
I risultati dei test sono ancora una volta sbalorditivi, non solo la roccia non presenta alcuna cavità, ma la lama è all’interno di essa e sembra aver passato la pietra come fosse burro caldo.
In una cappella trecentesca aggiunta all’originaria Rotonda, oltre ad alcuni affreschi di Ambrogio Lorenzetti, sono visibili in una teca ricoperta da un panno nero gli scheletri di due braccia e mani, una destra e una sinistra, che la leggenda vuole fossero di uno degli invidiosi che tentarono di estrarre dalla roccia la spada di San Galgano.
Le analisi chimiche condotte da Luigi Garlaschelli e Maurizio Calì ci dicono che anche quelle ossa potrebbero risalire al XII secolo.
Più ci addentriamo nella storia di San Galgano e del suo culto, più la trama diventa affascinante.
Esiste un collegamento tra San Galgano e Re Artù e se esiste, quale è?
Intanto il nome, scrive Moiraghi, Galgano, tanto simile a Galvano, uno dei cavalieri della tavola rotonda. E poi i collegamenti, neppure tanto misteriosi tra la Toscana della valle del Merse, dove passava la via Francigena, e la Francia medioevale di Chrétien de Troyes, il grande artefice del ciclo bretone.
A far conoscere in Francia la storia di Galgano sarebbe stato un altro eremita, Guglielmo di Malavalle, che si stabilì in un sito alle spalle di Castiglione della Pescaia, ancora oggi visitabile anche se molto malmesso, nonostante gli sforzi encomiabili di alcuni volontari guidati dal medico Fabrizio Fabiano.
Secondo alcune ipotesi Guglielmo di Malavalle potrebbe essere non soltanto di origine francese ma uno dei re di Aquitania ritiratosi dopo una crociata.
Quella collegata alla cerchia dell’eremita Guglielmo è soltanto una delle tante ipotesi sul collegamento tra la figura di San Galgano e le storie di Bretagna.
Il vero mito della spada nella roccia sarebbe dunque nato in Toscana alla fine del 1100 anche se secondo la leggenda re Artù sarebbe vissuto molti secoli prima…
Il giorno 18 maggio 2001 si è proceduto a un’ispezione del manufatto.
Il tentativo eseguito era di praticare un piccolo foro nella roccia sperando di raggiungere la cavità in cui si troverebbe la lama, e il blocco di piombo che la tiene.
E’ stato infatti praticato un foro di circa 11 mm di diametro, corrente verticalmente e parallelamente a poca distanza dalla posizione presunta della lama cementata.
Il Dott. Remo Vernillo (Facoltà di Medicina dell’Università di Siena) ha spiegato come l’interno del foro sia stato ispezionato con un endoscopio a fibre ottiche, e sulle difficoltà tecniche dell’operazione. Non si è però incontrato altro che roccia.
Una piccola parte del cemento è stato allora asportato dalla base della spada emergente, che è stata liberata e tolta.
La parte di lama sottostante era ancora invisibile.
(Una volta la roccia era coperta da una sorta di grata metallica.
L’allora parroco don Ciompi bloccò la lama versando del piombo fuso nella fessura.
La grata fu eliminata.
La spada fu però spezzata negli anni 60 durante un atto vandalico.
Il moncone fu fissato sopra la parte di lama ancora nella roccia applicando del cemento.
Il cemento fu poi sostituito con altro di colore adeguato.
La spada fu spezzata di nuovo nel 1991 da un secondo vandalo, e ancora sistemata con cemento.
Fu poi applicata l’attuale cupola protettiva di plexiglas. )
Un secondo foro è stato praticato in direzione obliqua rispetto al primo, incontrando dopo pochi centimetri una superficie metallica visibile all’endoscopio.
Altro cemento è stato allora asportato, mettendo a nudo alcuni centimetri della lama sottostante.
E’ stato verificato che gli orli della frattura dei due pezzi combaciano, e si può quindi legittimamente ritenere che la parte spezzata sia effettivamente parte della spada originale.
I due monconi sono successivamente stati accostati e tenuti in posizione per motivi estetici, tramite un piccolo morsetto metallico facilmente asportabile e che non danneggia in alcun modo il manufatto in attesa di possibili ulteriori interventi.
Nel corso delle operazioni erano state raccolte con un magnete alcune piccole scagliette, già staccate dalla parte di lama cementata.
Esse sono state inviate per un’analisi al microscopio elettronico a scansione al Dipartimento Innovazione Meccanica e Gestionale, Università di Padova, (Prof. Ramous) nella speranza di ottenere indicazioni circa la struttura del metallo, i trattamenti subiti (tempera, ricottura, ecc) e con l’intento di verificare, tra l’altro, se vi fossero elementi in contrasto con la supposta origine medievale del manufatto stesso.
Purtroppo i frammenti non contenevano metallo, ma erano costituiti da semplici ossidi di ferro e quindi non utilizzabili ai fini della prevista analisi.
Uno di questi frammenti è stato comunque analizzato per Spettroscopia di Assorbimento atomico presso il Dipartimento di Chimica Generale dell’Università di Pavia (Prof. Gallorini e Rizzio), evidenziando la presenza di cadmio, rame, nichel e piombo in tracce, in concentrazioni tali da rientrare nella norma per un metallo medievale e da non indicare utilizzo di leghe o acciai moderni...
Commenti
Posta un commento